La chiave biblica. Per una diversa interpretazione di Leopardi

La chiave biblica, poco adoperata nella critica leopardiana, rappresenta una possibilità diversa di interpretare Leopardi. Nel Poeta, che si dichiarava “difensore” di Giobbe e Salomone, davvero possono essere ritrovate la fede interrogante di Giobbe e l’infinita vanità del vero di Qohélet (o Ecclesiaste). Questo libro raccoglie gli studi biblico-leopardiani dell’autrice, riferiti soprattutto all’analisi dei libri di Giobbe e di Qohélet comparati con la vita e l’opera di Leopardi. Le due monografie Giobbe e Leopardi (2005) e Qohélet e Leopardi (2007), successivamente riunite in seconda edizione (2014), sono da tempo esaurite e vengono qui riproposte con nuove acquisizioni e note aggiornate. A queste si aggiungono due brevi saggi che completano l’analisi Giobbe-Leopardi. Il primo: La Lettera “bella e giudiziosa” di Luigi Uberto Giordani è stato da poco pubblicato su una prestigiosa Rivista scientifica. Il secondo: La Religione, il pregiudizio e il biblico “teorema contributivo” nella vita e nell’opera di Giacomo Leopardi è inedito e sviluppa ulteriormente il tema, centrale in Giobbe, cui l’autrice si sta dedicando negli ultimi anni. Infine, in Appendice, e accompagnata da poche note introduttive, viene proposta una lettera inedita di Monaldo Leopardi a dimostrazione dell’importanza che la religione, le pratiche devote e la stessa gestione “materiale” delle stesse, da sempre rivestivano per la famiglia Leopardi.

Presentazione il 9 maggio 2024 al Salone del Libro di Torino.

Prima e dopo l’Incontro con Giacomo Leopardi… (Presentazione di Renato Minore)

Loretta Marcon si racconta. Un c’era una volta che diviene psicoanalisi lieve e liberatoria. Apre nuovamente la sua scatola di latta (Loretta Marcon LA SCATOLA DI LATTA Versi e Pensieri – luglio 2013) e lo fa in punta di piedi, muovendo i fili di una “Lei” che cresce man mano che si sfogliano le pagine dei racconti brevi, regalati alla carta e a se stessa.

Poi, lo spartiacque, Giacomo Leopardi che le si presenta quando “Lei”, donna matura, è consapevole di voler dare un taglio ad un prima non appagante. Il taglio è definitivo ed è il dopo.

“Lei”, di cui si narra, è pronta ad aprirsi definitivamente a ciò che le piace, che la fa sentire bene e le permette di crescere nel pensiero e nel cuore.

L’incontro con Giacomo, come ama chiamarlo – anche noi poi ci rivolgeremo al Poeta di Recanati chiamandolo amichevolmente Giacomo – le aprirà orizzonti fisici e psicologici definitivi, una strada sana di non ritorno. Sarà il suo balsamo, il suo rifugio, i futuri studi, la via che la condurrà nell’Infinito leopardiano e in quello personale, privo di condizionamenti… tutti.

Il percorso recanatese intrapreso, se pur difficile e non senza nei, diverrà consuetudine per approfondire la conoscenza del Poeta e la conseguente divulgazione.

Inevitabile riflettere sul mistero di un destino che si manifesta contro la nostra volontà e che non è facile comprendere, se non gli andiamo incontro in libertà. Questo Loretta lo sa bene, perché lo ha imparato con la fatica del tempo che l’accoglie inesorabile.

(Luciana Interlenghi, Recanati)

La Befana di Giacomo Leopardi (1810)

A Volumnia Roberti
Carissima signora
Giacché mi trovo in viaggio volevo fare una visita a Voi e a tutti li Signori Ragazzi della Vostra Conversazione, ma la Neve mi ha rotto le Tappe e non mi posso trattenere. Ho pensato dunque di fermarmi un momento per fare la Piscia nel vostro Portone, e poi tirare avanti il mio viaggio. Bensì vi mando certe bagattelle per cotesti figliuoli, acciocché siano buoni ma ditegli che se sentirò cattive relazioni di loro, quest’altro Anno gli porterò un po’ di Merda. Veramente io voleva destinare a ognuno il suo regalo, per esempio a chi un corno, a chi un altro, ma ho temuto di dimostrare parzialità, e che quello il quale avesse li corni curti invidiasse li corni lunghi. Ho pensato dunque di rimettere le cose alla ventura, e farete così. Dentro l’anessa cartina trovarete tanti biglietti con altrettanti Numeri. Mettete tutti questi biglietti dentro un Orinale, e mischiateli bene bene con le vostre mani. Poi ognuno pigli il suo biglietto, e veda il suo numero. Poi con l’anessa chiave aprite il Baulle. Prima di tutto ci trovarete certa cosetta da godere in comune e credo che cotesti Signori la gradiranno perche (sic) sono un branco di ghiotti. Poi ci trovarete tutti li corni segnati col rispettivo numero. Ognuno pigli il suo, e vada in pace. Chi non è contento del Corno che gli tocca, faccia a baratto con li Corni delli Compagni. Se avvanza qualche corno lo riprenderò al mio ritorno. Un altr’Anno poi si vedrà di far meglio.
Voi poi Signora Carissima avvertite in tutto quest’Anno di trattare bene cotesti Signori, non solo col Caffè che già si intende, ma ancora con Pasticci, Crostate, Cialde, Cialdoni, ed altri regali, e non siate stitica, e non vi fate pregare, perche (sic) chi vuole la conversazione deve allargare la mano, e se darete un Pasticcio per sera sarete meglio lodata, e la vostra Conversazione si chiamarà la Conversazione del Pasticcio. Frattanto state allegri, e andate tutti dove io vi mando, e restateci finche (sic) non torno ghiotti, indiscreti, somari scrocconi dal primo fino all’ultimo.
La Befana

(lettera senza data ma Recanati, 6 gennaio 1810)

Nota: trovandosi in casa Leopardi, può darsi che questa lettera non sia mai stata recapitata, come Moroncini dà per certo allegando “la soverchia libertà del dettato, e specialmente alcune parole di crudo realismo”, che avrebbero trattenuto i genitori di Giacomo “dal dare esecuzione allo scherzo, per quanto innocente”; come può darsi che vi sia tornata in tempo successivo, essendo stato Monaldo “erede fiduciario universale” della marchesa.

Egloga scritta da Monaldo Leopardi

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EGLOGA scritta da Monaldo Leopardi in occasione del Santo Natale 1806 e recitata in famiglia dai piccoli Giacomo e Carlo (pubblicata da Anna Leopardi in occasione del S. Natale 2006, dedicandola agli amici per augurar loro un anno felice e sereno).

EGLOGA PER IL SANTO NATALE

Giacomo: Carluccio

Carlo: Giacomuccio

Giacomo: Perché siete svegliato?

Carlo: Finora le campane a festa hanno sonato:

dormivo tanto bene: proprio m’ha fatto male!

Giacomo: Vogliamo dir che sia la notte di Natale?

Carlo: Oibò! Fu anno passato. Non lo sapete?

Giacomo: E bene

La notte di Natale in tutti gli anni viene.

Carlo: Ma, dunque, Giacomuccio, il nostro Redentore

In tutti gli anni nasce, in tutti gli anni muore.

Giacomo: Eh, via! Sol una volta per noi morì Gesù:

Adesso vive in cielo, né morirà mai più.

Bensì la Santa Chiesa, con festa principale,

Celebra tutti gli anni la Notte di Natale.

Carlo: Dunque, senz’altro è questa. Babbo…

Giacomo: Mamma; sentite

Il nostro Salvatore è nato e voi dormite.

Carlo: Eh, altro che dormire! Loro si sono alzati.

Giacomo: Saranno andati in Chiesa, e a noi ci hanno piantati.

Carlo: Alziamoci noi pure.

Giacomo: Ci avessero a gridare?

Carlo: Eh no! Gesù Bambino andiamo a salutare.

Giacomo: Oh! Via, per questa volta. Non lo faremo più.

Carlo: Si tratta che ci alziamo per adorar Gesù.

Giacomo: Andiamo nel presepio a fargli compagnia.

Carlo: Diremo il Pater noster, e poi l’Ave Maria.

Giacomo: Sì; e poi gli canteremo tutta la canzoncina.

Carlo: Quella che fece Babbo per noi quella mattina?

Giacomo: Quella per ottenere felicità e contenti

A nonna, a babbo, a mamma e a tutti li parenti.

Carlo: Eccoci dunque. Attenti.

Giacono: Allegramente, a noi.

Su, cominciate.

Carlo: E’ meglio che cominciate voi.

Giacomo: Ti lodo, e t’adoro,

O Figlio divino,

Che fatto bambino

Scendesti dal ciel.

Carlo: Ti lodo, e t’adoro,

O verbo increato,

Che in terra sei nato

Fra i stenti e fra ‘l gel.

Giacomo: E tu, bella mamma,

Di tanto Signore

Presenta il mio cuore

Al caro Gesù.

Carlo: E tu, che qui in terra

Gli servi da Padre,

Al Figlio e alla Madre

Presentami tu.

Giacomo: Se poco è questo cuore,

Altro, Gesù, non ho.

Carlo: Accettami, Signore,

Che tutto a te mi do.

Diacono: A voi raccomandiamo,

Gesù, la casa nostra;

Donate a quanti siamo

Gesù, la grazia vostra;

E fateci contenti

Per una eternità.

Carlo: A babbo nostro e a mamma

Felicità donate;

A Nonna che va a Pesaro

Un buon viaggio date;

Ma non si faccia monaca

E torni in sanità.

Giacomo: Pace, salute e bene,

Gesù, date a zio Vito;

Date a zio Pietro ancora

Salute ed appetito:

Ma questo non sia tanto,

Gesù, per carità!

Carlo: A zio Ernesto pure

Date contenti ognora;

E fate che zio Ettore

Viva felice ancora.

Se non ci ha dati i brevi

Pazienza ci vorrà!

Giacomo: Il signor Don Giuseppe

Fate felice e santo;

Ma faccia poca scuola,

Ché se la slunga tanto,

Come successe a babbo

A noi succederà!

Carlo: Deh! Fate che viviamo

Sempre con pace e riso.

Giacomo: E fate che veniamo

Con voi in paradiso.

Giacomo e Carlo: A giubilare, a vivere

Per una eternità.

A Maria

A Maria (dagli “Inni cristiani” abbozzi di Giacomo Leopardi)


E’ vero che siamo tutti malvagi, ma non ne godiamo, siamo tanto infelici. E’ vero che questa vita e questi mali son brevi e nulli, ma noi pure siam piccoli e ci riescono lunghissimi e insopportabili. Tu che sei già grande e sicura, abbi pietà di tante miserie. ec.


[Gli abbozzi degli Inni risalgono ad un periodo compreso tra l’estate e l’autunno 1819 ]


Il mese di DICEMBRE nelle Puerili di Giacomo Leopardi (1810)

L MESE DI DICEMBRE (1810)

Questa è pur la campagna, dove, non son, che tre mesi, i giorni passavo deliziosi, e ameni! Son pur quelle le opposte colline, di verde manto un tempo ricoperte!… E’ pur quello il prato, dove fra molli erbette, e pinti fiori uso era a deliziarmi! Quelli son gli alberi; quello il fiume, quella la marina, che al guardo mi offrivano un grato spettacolo! Oh come tutto cangiò d’aspetto!… Ecco il monte. Siede su’ d’esso rabbuffato il crudo verno. Il gelido scettro v’innalza sulle balze nevose. Tutto colà è tacito, tutto è romito, e l’orso fiero, e l’ingordo lupo fuggono anch’essi dalla fame cacciati. Il timido usignuolo, e il vispo cardellino non più vanno canticchiando di bosco, in bosco, e di ramo in ramo, ma invece fischia impetuosa l’invernal bufera, per cui spogliato ogni albero di verde fronda, mostra brinati i suoi rami, e collo stridulo lor frastuono l’orrore accrescono dell’urlo cupo di lontane grotte. Larghi strati di gelo ingombrano il prato, per cui geme, inceppata d’ogni erbetta, e d’ogni fiore la debil vita. Là dal montano, nativo sasso scende precipitoso il fiume, e seco trae romoreggiando le svelte quercie, ed i pesanti smisurati massi, e là dalla povera, affumicata cappanna, sporgendo il capo, attonito resta il semplice pastorello al vedere le fragorose acque spumanti. Neghittosi gli armenti nelle fumanti stalle si ricovrano, e intorno al focolare si asside ozioso il bifolco, e la saggia villanella le lunghe ore consuma col fuso, e la rocca. Il Sole or mostrasi, or fugge fra le squarciate, ammontichiate nubi, e scarso tributo manda di lontana luce. Oh deliziosa campagna, troppo a me grata io ti abbandono, né più mi vedrai finché non tornerai di un nuovo ammanto adorna.

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